Libri. 'La compagnia delle anime finte', conversazione con l'autrice Wanda Marasco






Articolo pubblicato il: 02/06/2017 14:52:04

‘La Compagnia delle anime finte’ è l’ultimo romanzo di Wanda Marasco, candidata al Premio Strega di quest’anno. Pubblicato dalla casa editrice Neri Pozza è un romanzo che consigliamo a chiunque voglia tuffarsi in un viaggio intenso e profondo. La narrazione è affidata a Rosa che dialoga con la madre ormai morente. Un dialogo che non termina neanche quando Vincenzina Umbriello ha esalato l’ultimo respiro e che ci accompagna in un viaggio nel passato. La storia di una famiglia viene raccontata con un linguaggio poetico che giura fedeltà al carattere e al vissuto dei personaggi. Sullo sfondo la Napoli di Capodimonte e dei vichi. Di seguito la piacevole conversazione con Wanda Marasco.

- ‘La compagnia delle anime finte’, partiamo dal titolo…

I personaggi del romanzo sono gli umiliati e offesi, un tema credo che è al centro della mia necessità di narrare e vengono tutti alla ribalta, dopo la storia primaria che è la storia di Vincenzina e Rosa, un rapporto madre-figlia molto complicato, vengono alla ribalta come su un palcoscenico a recitare l’anima che non hanno avuto o che la narrazione vuole garantire e regalare loro come risarcimento del guasto del degrado in cui sono nati e hanno vissuto. In questo senso, quindi, il titolo avverte di un profondo accento teatrale, nel senso che ci vuol dire come in una compagnia teatrale, questi personaggi si metteranno a nudo, e metteranno a nudo le proprie ferite e avverte che il testo, per quanto romanzo, ha all’interno una drammaturgia, cioè una ritmica e anche ha una piccola, certamente limitata, visione del mondo.


- Una delle prime cose che salta all’occhio aprendo il libro è lo stile. L’unione di un registro poetico e prosa. Come mai questa scelta?

Vengo come formazione e come colore dalla scrittura poetica e teatrale. I colori si sono unificati con il racconto. Io ho bisogno di una lingua personaggio.  E quindi torniamo all’istanza della drammaturgia.   Ho bisogno di una lingua viva e che esprima i personaggi, come la maschera, come ne ‘Il Genio dell’abbandono’ adottai la lingua  che poteva essere di Vincenzo e quando ho cercato  di dare vita a queste storie dei vichi di Napoli ambientate tra gli anni ‘50 e ‘80, o meglio tra la fine degli anni ‘40 fino agli anni ‘80, ho deciso che la lingua dovesse essere ricerca di uno stile, ma soprattutto vivere  in adiacenza al carattere e alle condizioni esistenziali e sociali dei personaggi. Questo lo farei per qualunque altro tipo di romanzo, per me è importante, ho una mia idea della letteratura e se la letteratura non è simbiosi,  empatia, osmosi fra contenuto e stile per  me non c’è ragione di scrivere. Tanti lo fanno in maniera scorrevole, chiara, semplice, ultracomunicativa,  omologata e qualcuno raggiunge anche gli obiettivi che si è prefisso, di comunicare alla massa. Io voglio anche correre il pericolo di non piacere, ma voglio possedere uno stile e quello stile metterlo al servizio  della vitaliità, della storia e dei personaggi.

- Passiamo ai contenuti del libro: il ritratto di donne come Adelì, Vincenzina e Rosa, la descrizione del rapporto tra madre e figlia descritto… Il ruolo della donna, sembra essere quanto mai centrale…

 Sì è così, non dobbiamo però staccare la simbologia  dal personaggio femminile, perché il personaggio femminile in questa storia  mi occorreva per un certo ritaglio, violento, crudo, poetico, a volte tenero,  per dire che la madre è anche la città, il luogo,  la storia da cui vieni, che ti ha formato o che ti ha marchiato, con valori o con soprusi o con ferite come accade sempre nella vita di molti. Nel caso del tema del popolo degli umiliati e offesi sicuramente questo è avvenuto ancora di più. Volevo che le donne rappresentassero antropologicamente oltre che nel simbolo, nella metafora, questa città del sud, questa Napoli che è un po’ tante città, contiene le contraddizioni di un teatro mundi, come contiene anche le bellezze di un teatro del mondo. Le figure maschili sono volutamente fantasmate, sbiadite, o qualche volta ridotte caratterialmente a una viltà, che non è solo viltà caratteriale, ma che è spesso mancanza di lungimiranza, di comprender la storia, di affrontare l’urto con la vita. Sono volutamente sbiadite, mi occorreva questo per stagliare ancora più potentemente il femminile come la radice del dolore e delle visioni che sono presenti nel testo. Il maschile corrisponde, nella mia esperienza di vita, quasi sempre ad una assenza, c’è la perdita del padre avvenuta quando ero piccina, c’è una perdita dei due uomini che ho amato che non ci sono più, quindi queste figure fantasmatiche in qualche maniera sono esperienze della mia intimità, e le due cose, quello che dicevo prima e l’esperienza della lacuna del maschile si sono fuse nel romanzo, come sempre succede.

- Nel libro si parla di perdita. Una perdita che, però, non è mai definitiva. Neanche con la morte…

Il cardine del romanzo è questo dialogo tra la vita e la morte, e la morte va intesa come un doppio della vita, nel testo il dialogo è ininterrotto tra i vivi e i morti, è un flusso continuo e saperli e sentirli spettrali gli affetti perduti e le persone conosciute intensifica le verità che si scoprono indagando e reinventando gli affetti. Paradossalmente è sempre così, se scorporiamo una creatura umana e le togliamo gli attributi materiali, esistenziali, finiamo col parlare con noi stessi e usiamo la spettralità, come usiamo la maschera, per scoprire verità fondamentali.


- Napoli è l’altra grande protagonista del romanzo. La differenza tra la Napoli raccontata e la Napoli di oggi:  cos’è rimasto inalterato nel tempo?

E’ rimasta inalterata quello che ha prodotto la civiltà del consumo, l’omologazione, il mito della tecnologia come progresso reale. Mentre c’è una miglioria straordinaria, una progettazione in atto educativa in quartieri come la Sanità, le periferie, sono testimone di un’intensificazione del turismo, dell’arte,  dall’altra parte rimangono questi vichi  del degrado, dove il ragazzo, l’adolescente ha in mano il motorino, il cellulare, tutto il rumore che la tecnologia  può fare ed è veloce nell’apprendere questi meccanismi e si dedica  a questi elettrodomestici (ride) che sostituiscono la coscienza in maniera terribile e ahimè , anche per la mia esperienza di insegnante , confermo che il guasto e l’arresto di una crescita equilibrata, di uno sviluppo culturale più ricco e più fertile  lascia ancora molto a desiderare, ma credo che questo  non avvenga  solo a Napoli. Credo che questo avvengo in tutte le metropoli del mondo. Napoli per me è un luogo, un colore profondo della narrazione, ma muovo Napoli registicamente all’interno del romanzo, come un teatro delle coscienze e solo così accetto l’aggettivo ‘scrittrice napoletana’, non in altri termini, perché non voglio essere confinata nella solita etichetta della napoletanità. Per me Napoli è il teatro di una coscienza del mondo.  E io me ne servo registicamente perché la conosco nel profondo, conosco le sue intelligenze, le sue contraddizioni. Altro no.

Quale ruolo ricopre oggi la letteratura? C’è ancora spazio per quella che un tempo si definiva ‘letteratura impegnata’?

Nel cielo dell’arte, quando è arte c’è posto per tutti. C’è posto per la letteratura di genere, che è un altro talento interessantissimo e che quando è fatta bene ha persino un ruolo pedagogico, chiama a sè schiere di lettori, educa, fa rinascere il lettore che prima non c’era, e poi c’è, come dice lei, la letteratura impegnata, la letteratura  di un libro  che non può essere letto sotto l’ombrellone, (ride) che non può essere consumato come un babà. C’è sempre stata nella storia dell’umanità per l’una e l’altra cosa , oggi è più  difficile distinguere e capire dove  la letteratura con la ‘l’ maiuscola sia, perchè nella foresta  e nelle leggi del mercato  che hanno bisogno subito  della risposta, della vendita, anche i buoni libri potrebbero non apparire perché  la paura che non vengano venduti e quelli che vengono pubblicati non sono accompagnati dalla stessa potenza  mediatica, dall’esercito della pubblicità e questo rischio c’è  e si deve al baratro e agli inganni che l’economia ha creato. Ho incontrato tanti lettori che di fronte  alla difficoltà, alla presenza di metafore, a un testo denso, a una struttura complessa, non è vero che la gente va trattata (ride) come se fosse ‘stupida’, quando leggono una storia nella quale  si riconoscono, possono averlo lì sotto l’occhio il brano, la pagina dove scatta l’arte, il punto di vista inedito, la bellezza del mezzo che stai usando -  in questo caso la scrittura -  il lettore se ne accorge che sia un lettore forte o un lettore agli inizi (ride) della sua esperienza di lettura. C’è tanto bisogno non di difficoltà, di complessità, ma di arte, e di un’arte che come la letteratura sia testimonianza della creatura umana, delle nostre condizioni, ma che sappia farlo creando uno stile, un punto di vista inedito. Non possiamo né tornare indietro e imitare quello che è stato già detto meglio da tanti geni né accontentarci di un risultato semplicistico che tratti il lettore come viene trattato a volte il pubblico televisivo. Non c’è crescita  se facciamo così, non c’è nemmeno vendita. Se ne sono accorti gli americani che hanno addirittura ricostruito la realtà della piccole librerie, delle editorie di qualità, e spero che se ne accorga in tempo anche la grande editoria italiana.

- Per la seconda volta è tra i candidati al 'Premio Strega', quali emozioni si provano?
 E’ bello il percorso del Primio Strega, si sale su questo treno, si conoscono tanti scrittori, si legge qualche altro libro in più che magari poteva sfuggire, appunto, nella solita foresta editoriale e insomma si fanno  incontri che considero importanti. Poi il libro, il propri romanzo acquista più visibilità. Adesso c’è un contratto per quanto riguarda ‘La compagnia delle anime finte’ con la Spagna, la Germania; credo appunto, che il percorso illumini, accendi dei faretti sul alcuni  libri che altrimenti sarebbero rimasti nell’oscurità e poi quanto ai meccanismi, alle votazioni, eccetera, si sa  sa, il gioco lo si accetta fino in fondo  e mi pare che tutta la commissione e la presidenza dello Strega  abbia anche rinnovato questi meccanismi, quindi c’è più possibilità di resistere ai grandi gruppi editoriali, può accadere anche il miracolo che qualcuno di noi  sia in cinquina, forse non quello di vincere, ma almeno di entrare nella cinquina, quindi  sono contenta di esserci per la seconda volta e per nulla pentita.
Francesca Surdi