SCATENI. “Fuocammare”: molte luci, qualche ombra


Articolo pubblicato il: 04/10/2016 14:18:40

L’attesa era ben disposta per l’esclusiva targata Rai3 del docufilm “Fuocammare”, ma ha parzialmente  deluso. Il lavoro del regista Rosi ha trionfato a Berlino con il massimo riconoscimento dell’Orso d’Oro e ha ottenuto di candidarsi a rappresentare l’Italia nella prestigiosa competizione degli Oscar.  A ben guardare, intanto ammettendo che  non si tratta di un film ma di un documentario a medio metraggio, l’incursione nella tragedia dei migranti è paragonabile a molti reportage proposti dai network televisivi che nel tempo hanno puntualmente raccontato il calvario con qualità-quantità di immagini e commenti, per di più con il ritmo serrato dell’informazione e con significative testimonianze delle vittime di un esodo biblico. Il resoconto di Rosi, certamente più ricercato nella selezione delle immagini, propone letture choccanti, ad esempio la straziante presenza di corpi senza vita nella stiva di un barcone, ma accoglie nella narrazione la sola testimonianza diretta di un giovane migrante sul viaggio della disperazione, tra deserto e carcere, fame, percosse, violenze e morti: troppo sola e si avverte l’assenza di racconti diretti. A completezza della documentazione sarebbe stato straordinario filmare i disperati fuggiaschi nella traversata del deserto, ricostruire il drammatico intermezzo delle violenze dei mercanti dell’esodo, le carcerazioni (fase anche ricostruita cinematograficamente) la brutale, cinica  arroganza degli scafisti, le aspettative, le mete, le speranze dei derelitti addossati uno sull’altro in barconi da rottamazione  e gommoni in balia del mare. Non esistono poi testimonianze di quanti in tutti i Paesi europei aspettano di congiungersi con familiari rimasti nei luoghi di provenienza, in attesa di affrontare il viaggio della speranza. Qualche dubbio solleva il ruolo di filo conduttore che la sceneggiatura affida al bambino di Lampedusa che ha rilievo appropriato in pochi frammenti del documentario e per esempio quando gioca a calcio a ridosso del centro di accoglienza.  Nell’insieme la sua presenza appare estranea al dramma dei barconi che invocano aiuto, ai mille salvataggi in mare, alle migliaia di morti nel cimitero del Mediterraneo. I corpi senza vita allineati in terra, il protagonismo, anche se  minimale riservato a Pietro Bartolo, il “dottore dell’isola”,  i volti scavati da mille angherie subite, gli occhi smarriti di giovani uomini e donne, le lacrime dei superstiti di viaggi a rischio della vita: tutto già raccontato con la forza dell’immediatezza da telegiornali e speciali. Rosi ha trascorso un anno per realizzare il documentario che sicuramente propone suggestioni ed emozioni. Durante la visione del documentario ho provato a immaginare con vivo interesse il tema di “Fuocammare”  affidato a Corrado Iacona di “Presa diretta”, alle troupe della Gabanelli di “Report”, alla loro professionalità di giornalisti d’inchiesta. Si può immaginare perché.

L’americano doc

Un vero patriota il zuzzurellone Trump, un miliardario (ma lo è davvero?) tanto “rispettoso” della sovranità Usa da intrattenere rapporti di affari con Cuba, ai tempi del leader maximo, quando era in vigore l’embargo americano. Per di più il candidato repubblicano, accusato di evasione (diciotto anni senza dichiarare i redditi)  ha dato in fitto un suo ufficio newyorkese a una banca di Teheran segnalata nella lista nera delle istituzioni iraniane legate al terrorismo. Lo rivela il Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi, a cui aderiscono tra gli altri il New York Times e il Guardian. Trump stipulò il contratto di locazione con la Bank Melli, controllata dall’Iran a cui ha ceduto locali acquistati dalla General Motors nella Quinta Strada. Secondo ‘accusa, l’Istituto di Credito, inquilino di Trump, lo utilizzò per portare avanti il programma nucleare e per finanziare unità della Guardia Rivoluzionaria, retroscena di attacchi terroristici. Si sveglierà l’America dei fan che continuano ad acclamare Trump?



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Il gruppo immobiliare di Trump, emerge dall'inchiesta, ereditò come inquilino la Bank Melli, una delle più grandi banche controllate dallo Stato iraniano, quando acquistò il General Motors Building sulla Fifth Avenue, davanti all'ingresso di Central Park.

Nonostante il Dipartimento al Tesoro americano nel 1999 avesse inserito la banca nel gruppo delle istituzioni finanziarie da sanzionare perché legate al governo di Teheran, Trump continuò per anni ad affittare alla Bank Melli. Banca che fu utilizzata da Teheran - l'accusa mossa - per ottenere «materiali sensibili» per portare avanti il proprio programma nucleare. Tra il 2002 e il 2006 poi, per le autorità Usa la Bank Melli fu usata per finanziare un'unità della Guardia Rivoluzionaria che avrebbe sponsorizzato diversi attacchi terroristici.

Luciano Scateni