SCATENI/Spiacenti, cugini sanniti, questo Napoli è una macchina da primato. Due a zero al Benevento/Basta un'occhiata retroattiva


Articolo pubblicato il: 05/02/2018 12:33:55

Trovato (forse) il passpartout per entrare nelle segrete cose che per alcuni aspetti fanno del calcio il mistero dell’imponderabile. Interpellati indovini, maghi, streghe (il riferimento a Benevento nasce spontaneo) e a preveggenti, la risposta univoca si può intuire: il Napoli delle meraviglie, in cima alla classifica, con record di vittorie conquistate in trasferta, macchina da gol inarrestabile e bunker difensivo pressoché inviolabile, al Ciro Vigorito, stadio sannita, affronterà la giornata domenicale del calcio quasi con l’identico impegno richiesto dalle partitine infrasettimanali di rifinitura. Non è andata proprio così e i mille seicento napoletani al seguito degli azzurri, il primo quarto d’ora della sfida tra cugini lo hanno vissuto con il fiato sospeso. Si sono chiesti, ma è davvero questo il Benevento maglia nera del campionato? E’ questo il Napoli che distanzia i giallorossi di De Zerbi di cinquanta punti? Hanno risposto le vicende subito successive. La furia agonistica iniziale di Venuti e compagni ha fatto i conti con i limiti psicofisici del forcing esasperato che De Zerbi ha progettato nella speranza di sorprendere Sarri e chissà di partire con il vantaggio di un gol. Ma non ha contato fino a cento prima di scegliere questa strategia e soprattutto ha dimostrato di non conoscere a fondo una recente virtù degli undici che Sarri manda in campo sapendo di averli addestrati a districarsi in ogni situazione. Quando Hamsik, capitano di assoluta affidabilità, ha ritenuto di ordinare lo stop ai bollenti spiriti di D’Alessandro, Guilherme e compagni, l’inerzia della partita ha invertito la direzione di marcia. In rapida successione: il talento di Insigne ha inventato un guizzo di eccelsa intelligenza calcistica, finito sulla traversa della porta difesa da Puccioni. Dopo centoventi secondi il prode Hamsik ha “svirgolato” un pallone destinato al più facile dei gol. Sono trascorsi, non invano, altri duecentoquaranta secondi e l’anima di funambolo dell’estroso Mertens ha deciso di prodursi in un gol da top ten. Si è liberato di un paio di difensori nello spazio di pochi centimetri e da posizione per nulla agevole ha inventato un tocco diabolico. Il mini lob ha scavalcato Puggioni, uno a zero. Gol numero 14 del belga. Nulla di che fino alla fine del primo tempo, se non l’ormai storico possesso palla degli azzurri, che ha mandato in tilt la buona lena dei giallorossi decisi a dimostrare il change della società, corsa ai ripari con l’acquisto (sorry per il brutto termine riferito a persone) di otto nuovi giocatori, messi in campo da De Zerbi per dire “la musica cambia” (ecco il perché del termine inglese change). Al via del secondo tempo, il Sarri sornione ha certamente pensato di sorprendere il “nemico” con identica arma rispetto al primo tempo. Partenza a mille degli azzurri, azione limpida, di quelle che recitano a memoria. Callejon, come sempre largo sulla destra, aggancia un passaggio invitante. Pochi passi, poi un cross baciato dalla perfezione: il pallone evita millimetricamente l’opposizione dei difensori beneventani e calcola come un cronometro Rolex i tempi di inserimento di Hamsik sulla traiettoria. Puccioni va a caccia di farfalle, due a zero, esito della partita già scritto. Il regista della difesa napoletana, al secolo Reina, non deve mai prodursi in parate “miracolo”, la collaudatissima difesa azzurra conferma autorevolezza e imbattibilità. Unico pericolo per il Napoli al minuto undici. Il piede di Koulibaly incontra quello di Costa, non intenzionalmente, il signor Di Bello indica il dischetto, ma ci pensa il Var a modificare la decisione. Nell’azione descritta il guardalinee non ha segnalato un fuorigioco nettissimo. Rigore annullato. Il Napoli canticchia “fin che la barca va” per non sprecare fiato e affaticare muscoli. Poco da citare: purtroppo l’infortunio di Mertens, colpito a una gamba e costretto a lasciare il campo sostituito da Rog. Cinque minuti prima dentro Zielinski per Hamsik e al minuto 33 Diawara per Jorginho. Nei sei minuti di recupero decisi da Di Bello, Callejon calcia malamente il pallone ricevuto da un assist perfetto di Zielinski.

Due a zero con il minimo sforzo. E’ questa concretezza vincente e senza grande dispendio di forze, che la Juve deve temere, per il momento da posizione subalterna. In classifica Napoli punti 60, bianconeri 59.

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Basta un’occhiata retroattiva alla storia per sapere che i sindacati sono da sempre la cosiddetta cinghia di trasmissione dei partiti di riferimento, cioè CGIL-PCI, CISL-DC, UIL-PSI e più di recente UGL-DESTRA. Per fare qualche nome: Bertinotti, Epifani, Marini. Tutti traslati dal sindacato ai rispettivi partiti. Il caso più recente? Susanna Camusso, leader della Cgil. E’ tra i più accaniti e velenosi antagonisti del governo di centro sinistra. Per convinzione? Assolutamente no. Censure e bocciature di ogni atto dell’esecutivo a maggioranza Pd sono il tributo di adesione politica all’asse di sinistra che si riconosce in D’Alema, Bersani e ora in Grasso-Boldrini. Tempo verrà che ritroveremo la Camusso sui banchi di Montecitorio, lato sinistro dell’aula. L’ultima sua esternazione: “Le dinamiche della crescita in atto non diminuiscono le diseguaglianze né producono nuova occupazione, soprattutto di qualità".

Come non darle ragione: un milione di posti di lavoro in più per la Camusso equivalgono a non produrre occupazione!

Prima o poi, ci auguriamo prima la società delle diseguaglianze, delle emarginazioni, del discrimine, proverà a sanare il vulnus di quote consistenti dell’umanità confinate in ghetti dove ignoranza e degenerazioni dell’arte di arrangiarsi producono criminalità, da ultimo l’inedita delle baby gang. In attesa che la politica si occupi un pò meno “dei fatti suoi” e molto di più della complessità di problemi dell’umanità derelitta, non fanno difetto le conferme sul drammatico disagio sociale in parallelo tra tutte le periferie di grandi e piccole città, di Napoli e Milano, Parigi e New York.

Ai cento simboli di partiti e partitini, spinti dalla velleità di occupare gli scanni di Palazzo Madama e Montecitorio, sarebbe il caso di aggiungerne uno nuovo di zecca, per accogliere redattori semplici, inviati, giornalisti titolati, direttori di quotidiani, che il 4 marzo chiederanno agli elettori di barrare con una croce il proprio nome sulla scheda elettorale. Gli aspiranti “onorevoli” sono decisi a emulare i 46 colleghi ospiti del Parlamento nella legislatura in via di estinzione. Qualche nome di deputati e senatori pregressi? Michele Santoro, Lilli Gruber, Corradino Mineo…Ci si chiede il perché di una così generosa accoglienza nei partiti di anchor men and woman? Una risposta c’è, incompiuta. Perché anche la politica è visibilità, notorietà televisiva, più che qualità, capacità ed esperienze da spendere al servizio del Paese. Se eletti, si fregeranno del titolo (usurpato, illegittimo) di onorevole, anche i precari di testate in via di estinzione per la crisi della carta stampata.

Succede in America, territorio con licenza di vendere armi come in Italia si compra il pane al supermercato, che una ragazzina di 12 anni spari all’impazzata nell’aula della sua scuola di Los Angeles. Feriti due coetanei, uno in gravi condizioni. Altri tre in modo lieve. Cosa spinge lei e i mini criminali di ogni parte del mondo a compiere azioni violente che si definiscono con superficialità gratuite? Almeno questo: che psicologi e pedagoghi si sforzino di capire il perché, condizione prioritaria per programmare una terapia vincente.

Luciano Scateni