PUBBLICHIAMO IL POST FACEBOOK DEL PARROCO DON MAURIZIO PATRICIELLO:
"Ci sono cose che non riveleresti mai a nessuno. Che fanno parte del santuario della tua vita intima. Ho capito, però, che per venire in aiuto a un fratello debbo - si legge nel post - necessariamente aprirgli il cuore, anche se mi costa. È successo poco tempo fa. Una signora sconosciuta mi ha raggiunto in chiesa e, piangendo, ha voluto raccontarmi la sua vita. La signora soffriva molto per una forma di depressione. L’ ho ascoltata con attenzione, interverendo poche volte nel suo racconto. Ma quando mi ha detto di essersi convinta che da quel tunnel non sarebbe mai uscita, ho avvertito il bisogno di raccontarle una storia. Una storia che conosco bene. Che è impressa nella mia carne e che le avrebbe dato un poco di conforto. Una storia che avrebbe potuto riaccendere in lei il fuoco della speranza. Una storia che conservo come un preziosissimo tesoro. Accadde diversi anni fa. Ancora - si legge nel post -ricordo alla perfezione il giorno, l’ ora, l’ anno, il luogo dove mi trovavo. Era il 4 novembre e io, come ogni sera, stavo proclamando il Vangelo, durante la celebrazione della Messa. Accadde tutto all’ improvviso. Inaspettatamente. Senza preavviso. Senza che potessi minimamente immaginare. È difficile da spiegare. Ebbi la sensazione che una pesantissima cappa di piombo nero mi calasse addosso. Tutto intorno a me si spense. Il cuore cominciò a battere all’ impazzata. Credetti di morire. Non capivo che cosa mi stesse accadendo. Nel giro di pochi giorni se ne andò la fame. E con la fame il sonno. E la forza e la voglia di uscire di casa. Di leggere e studiare. Le notizie di ciò che avveniva nel mondo non riuscivano più a interessarmi. Tutto sembrava essere così lontano. Tutto così estraneo. Ascoltare le confessioni, visitare gli ammalati, parlare con la gente mi stancava. Celebrare la Messa era come salire il Calvario. Non percepivo più nememno il gusto dei cibi per i quali da sempre andavo ghiotto. Mangiare divenne un tormento. Riuscivo - si legge nel post -ad ingoiare solo liquidi. Che cosa mai stava accadendo alla mia vita di uomo e di sacerdote? Chiesi aiuto ai miei confratelli più vicini e a qualche amico psicologo credente. Furono semplicemente meravigliosi. La mia riconoscenza per la carità che ebbero per me non può essere che eterna. Mi vergognavo terribilmente di questa strana malattia. Non volevo che gli altri si accorgessero di quanto fragile fosse il prete sulle cui spalle, da anni, erano abituati a deporre i fardelli che non riuscivano a portare. Rino, lo psicologo, mi disse che si trattava di depressione. Ma aggiunse anche che non c’ era niente di cui vergognarsi. Siamo tutti uomini. Quindi tutti fragili e mortali. Di quei giorni è vivo in me il ricordo di un dolore immenso. Credo che sia stato il dolore più grande che abbia mai provato. Passavo le notti sdraiato su una poltrona davanti a un grande Crocifisso nella mia camera da letto. Gli occhi stanchissimi, ma aperti come due voragini. Soffrì - si legge nel post - come non mai, ma anche feci l’ esperienza di Dio più forte della mia povera vita di credente e di prete. Niente – dico niente – riusciva a interessarmi, a darmi un pizzico di gioia. La lettura, che da quando ho imparato a leggere, è parte di me stesso, divenne un fatica. I libri da sempre amati non venivano nemmeno sfogliati. Una stanchezza mortale, un tedio insopportabile mi accompagnavano per tutta la giornata. E l’ avvicinarsi della sera mi faceva paura. Più insopportabile di tutto era il pensiero di non guarire più. (...) È stato il momento di una esperienza di fede pura. Sono stato con Gesù sotto la croce. Ho sentito in me la sua carne squarciata dalla lancia. Ho potuto guardare negli occhi il soldato che gli percuoteva il viso. Sapevo che era necessario. Questa convinzione mi dava la forza di non cedere. Ho imparato che se divino è il dare, divino è anche il ricevere. Oggi, nella mia vita di cristiano e di prete, niente deve andare perduto di questo patrimonio accumulato. Occorre, ancora una volta, raccogliere i pezzi avanzati per sfamare prima di tutto i poveri. E anche il sentimento di legittimo pudore che mi ha portato a tenere - si legge nel post -a lungo per me questa esperienza intima e dolorosa, deve lasciare spazio all’ amore. Non è giusto conservare il pane nella madia mentre mio fratello ha fame. Sono convinto che coloro che in questo momento soffrono di questo male misterioso potranno ricevere da questa testimonianza un pizzico di speranza. Chi sta pensando che sia inutile lottare ancora, può cambiare idea. Per voi fratelli e sorelle che amo, ho deciso di mettere a nudo la mia vita correndo anche qualche rischio. (...) Dal tunnel si esce. Magari lentamente, ma si esce. È importante crederci. Accompagno questo scritto con la mia preghiera e la mia benedizione. A Dio, unico Signore, ogni lode e gloria - conclude il post - per i secoli eterni. Padre Maurizio Patriciello"
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